Tumori della prostata

Tumori della Prostata

Epidemiologia

Il tumore della prostata è la più frequente neoplasia dell’uomo con un’incidenza del 12%. E’ raro al di sotto dei 40 anni e aumenta progressivamente con l’età.  Origina come lesione confinata alla ghiandola che, in genere lentamente, si espande. Esistono tumori prostatici che non sono in grado di modificare la spettanza di vita dei pazienti anche se non curati e oggi uno dei compiti più impegnativi dell’urologo è proprio quello di riconoscere queste forme non aggressive di tumore. Al contrario, vi sono tumori prostatici caratterizzati da grande aggressività, capaci di rapida crescita e diffusione agli altri organi (soprattutto ossa e linfonodi). In questi casi una diagnosi precoce può sensibilmente modificare il decorso della malattia. 

La stragrande maggioranza di questi tumori dal punto di vista istologico sono adenocarcinomi (tumori a struttura ghiandolare) e le caratteristiche cellulari vengono graduate secondo la classificazione di Gleason, che prevede punteggi da 2 a 10. 

Il tumore prostatico origina e si accresce all’interno della ghiandola fino a superarne i confini ed invadere per continuità gli organi circostanti, ma è anche in grado di diffondere attraverso le vie linfatiche ai linfonodi pelvici e attraverso il circolo ematico ad altri organi, principalmente le ossa. 

 

Fattori di rischio

Sintomi

Nella stragrande maggioranza dei casi il tumore prostatico è asintomatico, perché è troppo piccolo e localizzato in profondità per manifestarsi.

Solo in presenza di tumori di notevoli dimensioni possono comparire sintomi di ostruzione urinaria (simili a quelli dell’Ipertrofia prostatica) come difficoltà durante la minzione, minzione frequente o urgente, oppure ritenzione urinaria. In alcuni rari casi si può avere emospermia (sangue nello sperma), sintomo che è frequentemente causato da condizioni infiammatorie o traumatiche assolutamente benigne.  

Se la neoplasia invade la vescica possono evidenziarsi segni di insufficienza renale o ematuria (sangue nell’urina). 

I dolori ossei sono invece caratteristici della malattia in fase metastatica, e fortunatamente oggi si osservano molto di rado come prime manifestazioni di una malattia occulta.  

 

Diagnosi

La diagnosi si basa essenzialmente sulla proposta di indagini atte a sospettare la presenza di un tumore in soggetti asintomatici o che lamentano sintomi di altre condizioni (IPB per esempio). L’attenzione alla diagnosi precoce di questa neoplasia è ciò che ha consentito negli ultimi 20 anni di arrivare sempre più frequentemente a scoprire questa malattia in una fase curabile, limitando le diagnosi di malattia già in fase avanzata o metastatica a casi  sporadici.

 

L’esplorazione rettale rappresenta il primo approccio diagnostico in ogni patologia prostatica in quanto, palpando la superficie poseteriore della ghiandola, è possibile stabilirne consistenza, volume e dolorabilità. Il 70% dei tumori prostatici origina in questa sede (la cosidetta Zona periferica) per cui ogni anomala consistenza pone il sospetto di una neoplasia. Rappresenta comunque un esame poco efficace nella diagnosi delle forme iniziali, che spesso sono troppo piccole per essere palpate e delle forme poste in altre sedi della ghiandola.

 

L’antigene prostatico specifico (PSA) è una proteina prodotta dalle cellule prostatiche che svolge una importante funzione riproduttiva. Numerose condizioni patologiche (IPB, prostatite per esempio) e le più comuni indagini dianostiche (cistoscopia, ecografia transrettale, esplorazione rettale) determinano un aumento del PSA nel sangue in quanto l’alterazione della struttura della ghiandola a causa del processo patologico o il traumatismo conseguente alla manovra diagnostica favoriscono il passaggio di una quota di questa sostanza nel torrente circolatorio. Tra queste condizioni vi è anche il tumore della prostata, per cui il PSA è comunemente utilizzato come marker tumorale. Tuttavia, dato che l’aumento dei valori nel sangue può essere causato da molte condizioni, il principale compito dell’urologo di fronte ad un “PSA elevato” sarà distinguere gli aumenti causati dal tumore da quelli determinati da altre condizioni. (Vai alla pagina specifica per approfondire)

 

L’ecografia transrettale consente, mediante una sonda ecografica che, inserita nel retto, giunge a diretto contatto con la prostata, di valutare accuratamente forma, dimensioni ed ecostruttura della ghiandola. L’esame fornisce informazioni accurate sul volume prostatico, sulla sua morfologia, in particolare rispetto all’aggetto intravescicale, e sulla presenza di calcificazioni o lesioni cistiche intraghiandolari. Le capacità di risoluzione degli ecografi odierni consentono anche una migliore caratterizzazione delle lesioni tumorali, che spesso risultano identificabili o sospettabili anche ecograficamente. Attraverso la sonda ecografica è possibile, in anestesia locale, effettuare prelievi bioptici del tessuto ghiandolare, onde ottenere una diagnosi istologica di tumore prostatico. Il protocollo più diffuso di biopsia è quello che prevede 12 prelievi effettuati in zone specifiche identificate ecografiamente secondo uno schema predeterminato, che consentono una mappatura istologica della ghiandola. In casi selezionati in cui siano identificate lesioni sospette alla risonanza magnetica si possono anche effettuare biopsie mirate ricorrendo alla tecnica eco-fusion, che permette di sovrapporre le immagini della risonanza a quelle ecografiche ottenute in diretta, in modo da poter collocare spazialmente le lesioni osservate alla risonanza ed effettuarne la biopsia.

 

La risonanza magnetica multiparametrica (RM) fornisce accurate informazioni morfologiche e funzionali, basate sulla valutazione della diffusione e smaltimento dai tessuti (washout) del mezzo di contrasto. E’ in grado pertanto di segnalare lesioni di sospetta natura neoplastica, cui viene attribuito un grado di probabilità secondo una scala denominata PIRADS. Più il PIRADS è alto (valori da 1 a 5), più è probabile che il reperto osservato sia tumorale. Il suo utilizzo in combinazione con l’ecografia (tecnica eco-fusion, come ricordato sopra) consente la biopsia mirate delle lesioni. E’ anche possibile effettuare direttamente la biopsia delle lesioni sospette durante la la risonanza, ma questa metodica è poco diffusa in quanto più lunga e di difficile esecuzione rispetto all’eco-fusion.

 

La tomografia ad emissione di positroni (TC-PET) è un esame di medicina nucleare che utilizza un marcatore radioattivo che evidenzia specificamente l’attività metabolica di determinate cellule identificandone la sede. In campo prostatico come marcatore viene utilizzata la colina, sia nella stadiazione, che durante il follow-up, oppure il PSMA (antigene di membrana prostatico specifico), nel follow-up.

 

La scintigrafia ossea è un’indagine diagnostica che fornisce informazioni circa l’eventuale coinvolgimento osseo (metastasi scheletriche) ed è indicata in pazienti con dolori ossei o per completare in particolari casi la stadiazione della malattia.

 

La tomografia assiale computerizzata (TC) è sempre meno utilizzata nel tumore prostatico in quanto PET e RM forniscono adeguate informazioni di stadiazione. E’ utile nella valutazione dei linfonodi e di un eventuale coinvolgimento polmonare.

Terapia

Il trattamento del tumore prostatico oggi presenta varie opzioni ed alternative terapeutiche a seconda dello stadio della malattia e dell’aggressività delle cellule neoplastiche. L’aspettativa di vita, dettata dal’età e dalla presenza di comorbilità, è un altro fattore che influenza la decisione terapeutica.

La sorveglianza attiva rappresenta una valida opzione per i pazienti con neoplasia a basso rischio, e consente tassi di sopravvivenza paragonabili a quelli di chirurgia e radioterapia. I pazienti in sorveglianza attiva non effettuano alcuna terapia, ma vengono sottoposti periodicamente e rivalutazione dello stato della malattia secondo un protocollo predeterminato per evidenziare l’eventuale progressione o sviluppo di maggiore aggressività della malattia. In tal caso al paziente viene proposto un trattamento attivo, chirurgico o radioterapico.

La prostatectomia radicale è l’intervento chirurgico che asportando  prostata e vescicole seminali e anastomizzando la vescica all’uretra consente di rimuovere il tumore prostatico. E’ indicato principalmente in caso di tumore confinato alla ghiandola, situazione in cui consente di ottenere tassi di guarigione elevati, oppure in caso di tumori localmente avanzati nell’ambito di un trattamento combinato (cd multimodale). Può essere effettuata con metodica a cielo aperto, laparoscopica o robotica. L’evoluzione della tecnologia e delle conoscenze anatomiche ha condotto ad un deciso miglioramento dei tassi di incontinenza e, nei casi in cui si possa effettuare anche il risparmio dei nervi cavernosi, anche il mantenimento della potenza sessuale in una buona percentuale dei casi. 

La radioterapia rappresenta un’altra scelta con finalità curative. La disponibilità di sistemi computerizzati basati sulla TC per la pianificazione terapeutica e la ricostruzione tridimensionale del volume bersaglio e degli organi circostanti hanno reso possibile la somministrazione di dosi assai elevate di radiazione, conformando la dose stessa attorno alla “silhouette” tumorale e riducendo significativamente l’irradiazione dei tessuti sani circostanti. Questa tecnica conformazionale e la tecnica con intensità modulata (IMRT) consentono di somministrare dosi maggiori di radiazione al tumore ed eventualmente ai linfonodi pelvici riducendo gli effetti collaterali. Gli effetti collaterali acuti (durante il trattamento) sono generalmente legati a disturbi irritativi della vescica (minzione frequente associata o meno a dolore o bruciore) o a carico del retto (proctite) e sono transitori, mentre quelli che eventualmente si manifestino a distanza di tempo (disfunzione erettile, sanguinamento vescicale, stenosi dell’uretra, incontinenza urinaria), sono in genere permanenti e a volte richiedono un trattamento chirurgico. Un’altra forma di trattamento radioterapico è la radioterapia interstiziale (brachiterapia) che consiste nell’introduzione di “semi” radioattivi all’interno del tessuto prostatico, onde diffondere la radiazione al tumore direttamente dall’interno dell’organo. E’ indicata per ghiandole di dimensioni piccole o moderate e per neoplasie a basso grado di aggressività.

Tra le altre terapie con intento curativo occorre segnalare il trattamento con ultrasuoni focalizzati ad elevata intensità (HIFU) e la crioterapia. In entrambi i casi il trattamento intende distruggere le cellule prostatiche attraverso variazioni di temperatura, verso l’alto nel primo caso, verso il basso nel secondo. Entrambe le modalità hanno dimostrato una certa efficacia in tumori con scarsa aggressività, risultando comunque nettamente inferiori a prostatectomia radicale o radioterapia. Oggi entrambe queste terapie sono utilizzate in studi, ancora sperimentali, di terapia focale, in cui attraverso RM ed ecografia si identifica il focolaio tumorale e lo si aggredisce selettivamente con HIFU o crioterapia risparmiando il resto della ghiandola. 

I tumori non più esclusivamente confinati alla ghiandola, ma diffusi ai linfonodi o ad altri organi necessitano di trattamenti diretti all’intero organismo e non solo alla prostata (terapie sistemiche).

Essendo quello prostatico un tumore direttamente influenzato dalla presenza in circolo dell’ormone sessuale maschile (testosterone), le terapie che bloccano questo ormone (blocco androgenico), sono in grado di bloccare l’evoluzione della malattia anche per lunghi periodi. 

Infine la recente introduzione di farmaci chemioterapici efficaci come i taxani, di molecole come abiraterone ed enzalutamide molto attive sulle localizzazioni ossee, e di trattamenti immunoterapici, ha di gran lunga migliorato il trattamento anche dei pazienti con malattia metastatica. 

Oggigiorno è sempre più possibile scegliere un trattamento personalizzato per il tumore della prostata, che tenga presente le caratteristiche del paziente (età, presenza di altre patologie), comprese le sue aspettative in termine di rispetto di funzioni e qualità di vita,  e le caratteristiche patologiche del tumore. E’ questo il lavoro quotidiano dei PDTA prostatici, gruppi in cui urologi, oncologi, radioterapisti, radiologi e medici di medicina generale si riuniscono per trattare ogni singolo caso in modo univoco e coerente con le più recenti evidenze scientifiche. 

La nuova frontiera, ormai alle porte, è rappresentata dall’analisi genomica delle cellule tumorali, che le legherà direttamente alla sensibilità a determinati trattamenti e alla prognosi. 

Per doverosa informazione, si ricorda che la visita medica rappresenta il solo strumento diagnostico per un efficace trattamento terapeutico. I consigli forniti in questo sito devono essere intesi semplicemente come suggerimenti di comportamento.