Prostatectomia Radicale
Prostatectomia Radicale
È una procedura che permette di asportare la ghiandola prostatica in toto, unitamente alle vescicole seminali.
E’ possibile effettuare l’intervento con tecnica a cielo aperto (retropubica o perineale) o videolaparoscopica. In questo ultimo caso l’intervento è spesso effettuato con l’ausilio del robot chirurgico.
Tutte le tecniche a disposizione, in rapporto all’esperienza dell’operatore, sono in grado di fornire buoni risultati, sia in termini oncologici, sia in termini funzionali. Ad oggi nessuna tecnica è risultata nettamente superiore alle altre.
Indicazioni
- Tumori prostatici confinati alla ghiandola prostatica
- Assenza di metastasi viscerali o linfonodali
Tecnica e decorso postoperatorio
A) Prostatectomia retropubica: Con il paziente in posizione supina e con le gambe leggermente divaricate si accede allo scavo pelvico mediante una incisione lineare tra l’ombelico e il pube e, se indicato, si asportano i linfonodi iliaci e/o otturatori; si espone poi il blocco vescico- prostatico e la prostata viene isolata dalla vescica, facendo attenzione a conservare lo strato muscolare liscio attorno al collo vescicale in modo da preservare la continenza urinaria. Una volta rimossa la prostata e le vescicole seminali, se possibile risparmiando i nervi responsabili dell’erezione, che decorrono in stretta contiguità con la prostata stessa (Tecnica cosiddetta nerve sparing), viene ripristinata la continuità delle vie urinarie suturando la vescica all’uretra.
B) Prostatectomia videolaparoscopica e robotica: Con il paziente in posizione supina e con le gambe leggermente divaricate tramite una incisione cutanea paraombelicale viene inserito un trocar (strumento per applicare un canale operativo laparoscopico) che permette di creare il pneumoperitoneo tramite insufflazione di anidride carbonica gassosa. Sotto visione diretta si applicano quindi altri tre trocar lateralmente al primo. Tramite gli strumenti laparoscopici che vengono introdotti in questi canali si procede alla eventuale linfadenectomia e quindi alla prostatectomia, con le stesse modalità dell’intervento open; la prostata assieme alle vescicole seminali viene estratta allargando leggermente una delle incisioni effettuate per applicare i trocar e si procede quindi al ricongiungimento di vescica e uretra su catetere. Nel caso in cui questa tecnica sia effettuata mediante l’ausilio del robot chirurgico, quest’ultimo, comandato dal primo operatore tramite la specifica consolle posta in sala operatoria, manovrerà la telecamera e due strumenti da taglio e presa, mentre un chirurgo assistente utilizzerà una ulteriore pinza laparoscopia e l’aspiratore direttamente al tavolo operatorio. Gli strumenti robotici rispetto alla laparoscopia tradizionale sono in grado di facilitare le operazioni di dissezione e di sutura essendo più precisi, la telecamera permette un ingrandimento tale da visualizzare dettagli non percepibili a cielo aperto. Anche con queste modalità è realizzabile, se indicata, la tecnica nerve sparing.
C) Prostatectomia transperineale: con il paziente in posizione litotomica spinta (supino con le gambe divaricate e le cosce flesse completamente sull’addome, in modo che il perineo, ovvero il tratto di cute compreso fra l’ano e la radice dello scroto, assuma una posizione quasi orizzontale) tramite una incisione curvilinea che attraversa il perineo da una coscia all’altra si raggiunge la prostata e si asporta in blocco con le vescicole seminali (per questa via non si possono asportare i linfonodi), quindi si ripristina la continuità vescico-uretrale su catetere.
Efficacia e possibili complicanze
L’efficacia è di questa metodica è soddisfacente rispetto alla radicalità oncologica quando la neoplasia per la quale si è posta l’indicazione chirurgica si conferma organo-confinata; è necessario tuttavia un follow up prolungato perché le eventuali recidive possono presentarsi anche a distanza di anni; può essere inoltre necessaria terapia complementare (radioterapia, ormonoterapia) quando all’esame istologico definitivo si evidenzi una situazione non localizzata (presenza di margini positivi, cioè sconfinamento microscopico della malattia oltre la zona di asportazione chirurgica, o di lesioni secondarie nei linfonodi pelvici asportati). Inoltre in alcuni casi di neoplasie particolarmente aggressive possono essere presenti al momento dell’intervento delle lesioni microscopiche a distanza non rilevabili neppure con le procedure diagnostiche più sensibili, che possono inficiare la radicalità dell’intervento in un quadro di malattia apparentemente organo- confinato.
Le possibili complicanze associate a questo intervento sono:
a) complicanze intraoperatorie come quelle emorragiche (7-8%), perforazione del retto (0,1-0,2%), lesione degli ureteri (0,1%);
b) complicanze postoperatorie precoci (entro i 30 giorni) come tromboembolia polmonare (0,7-2,6%), accidenti cardiovascolari (1-4%), infezioni della ferita (0,9-1,3%), linforrea e linfocele (0,6-2%);
c) complicanze postoperatorie tardive (oltre i 30 giorni) come la stenosi dell’anastomosi uretro- vescicale (0,6- 3,2%), incontinenza urinaria (circa il 10%), impotenza (fino al 50%).
Le complicanze postoperatorie, massimamente quelle emorragiche, possono rendere necessario reintervento precoce; la persistenza di linforrea o la formazione del linfocele possono condizionarne il drenaggio chirurgico, in anestesia locale, per via percutanea, o anestesia generale se utilizzata una tecnica open o laparoscopica; l’incontinenza urinaria, se grave, e l’impotenza, possono richiedere l’applicazione chirurgica di presidi protesici.
Per doverosa informazione, si ricorda che la visita medica rappresenta il solo strumento diagnostico per un efficace trattamento terapeutico. I consigli forniti in questo sito devono essere intesi semplicemente come suggerimenti di comportamento.