Termoablazione renale
Termoablazione con radiofrequenza di neoplasie renali
La metodica si basa sulla applicazione locale di energia termica (calore) a radiofrequenza su noduli tumorali maligni renali. Una corrente elettrica alternata ad alta frequenza si muove dalla punta di un elettrodo (in questo caso la punta di un ago) all’interno del tessuto tumorale intorno all’elettrodo stesso. Gli ioni (le particelle cariche elettricamente) all’interno del tessuto tumorale seguono i cambiamenti di direzione della corrente alternata, si verifica così un attrito che è causa del riscaldamento del tessuto.
Quando la temperatura all’interno del tessuto tumorale supera i 60°C inizia la morte cellulare e si determina una regione di necrosi intorno all’elettrodo (la punta dell’ago).
Tale trattamento serve ad eliminare il nodulo tumorale per via percutanea con un ridotto impatto sulle condizioni generali del paziente.
Indicazioni
- Neoplasie renali maligne di piccole dimensioni in pazienti che presentano elevato rischio chirurgico
- Neoplasie renali maligne recidive dopo nefrectomia parziale
- Neoplasie renali maligne di dimensioni contenute in pazienti con un solo rene superstite
Tecnica e decorso postoperatorio
Si identifica, sotto guida TAC o ecografica, la sede cutanea di accesso al nodulo più appropriata.
Si pratica quindi una anestesia locale della sede cutanea di accesso e una minuscola incisione con bisturi per favorire la successiva penetrazione dell’ago da termoablazione attraverso la cute e il sottocute.
Si fa penetrare, attraverso la sede cutanea di ingresso già anestetizzata, l’ago (di diametro pari a 1.5-2 mm) all’interno del nodulo sotto la guida continua dell’ecografo o TAC; la punta dell’ago dovrà essere posizionata esattamente all’interno del nodulo tumorale.
Verificato l’esatto posizionamento della punta dell’ago si procederà con la erogazione della energia attraverso un generatore di radiofrequenza collegato all’ago. L’energia verrà trasmessa dalla punta dell’ago al tumore. All’interno del nodulo si svilupperà calore che sarà responsabile della morte delle cellule tumorali.
La generazione di calore intorno alla punta dell’ago, posta al centro del nodulo, potrà determinare dolore; in questo caso sarà il medico Anestesista, presente per tutta la durata della manovra, a somministrare farmaci per alleviare il dolore e ridurre lo stato di ansia.
La ablazione di un nodulo richiede un tempo medio di circa 10 minuti, durante il quale l’ago resta sempre all’interno della lesione, erogando l’energia necessaria a distruggere le cellule tumorali. Il tempo totale richiesto per l’intervento dipende naturalmente dalle dimensioni del nodulo (più grande è il nodulo maggiore è il tempo di permanenza dell’ago all’interno della lesione) e dal numero di noduli da ablare (è infatti possibile nel corso di una singola seduta trattare più noduli).
Questa procedura è un ottimo metodo per distruggere piccole lesioni tumorali senza ricorrere a pesanti interventi chirurgici, anche se talvolta può non essere risolutivo. Il trattamento praticato ha effetto solo sulla lesione trattata e non esclude la possibilità che in futuro vi sia una recidiva locale o che possano comparire nuove lesioni neoplastiche in altre sedi.
Possibili complicanze
Essendo una procedura che prevede l’inserimento di un ago e la produzione di calore ad elevata temperatura possono verificarsi degli effetti avversi raramente mortali, a volte gravi e più spesso di lieve entità.
In conseguenza della procedura percutanea di termoablazione con radiofrequenza sono stati segnalati rari casi di morte per perforazione del colon. Con maggiore frequenza (circa nel 10% dei casi) sono stati segnalati eventi avversi gravi, tra i quali la formazione di un ascesso epatico (una infezione localizzata all’interno del fegato), la comparsa di versamento pleurico (formazione di liquido intorno al polmone), la comparsa di ustione cutanea, difficoltà respiratoria durante la procedura, pneumotorace (perforazione del polmone con conseguente suo collasso nella cavità toracica), danno alla parete della colecisti, sanguinamento (ematoma sottocapsulare epatico o emoperitoneo (cioè sanguinamento all’interno della cavità addominale), insufficienza renale acuta, diffusione del tumore lungo il tragitto dell’ago, danneggiamento della vie biliari.
L’intero intervento si svolge sotto la continua guida ecografica o TAC per cercare di evitare il danneggiamento di strutture anatomiche che potrebbero essere gravemente lesionate dalla penetrazione dell’ago o dalla ustione prodotta dal calore emanato dall’ago.
Molto frequentemente (36% dei casi) si manifesta la cosiddetta “sindrome post-ablazione” che si risolve spontaneamente in alcuni giorni ed è caratterizzata dalla comparsa di febbre, malessere, brividi, dolore in ipocondrio destro, nausea.
È possibile che si possa presentare dolore per alcune ore dopo il trattamento e per questo è normalmente somministrata una terapia antalgica.
Per tutta la durata della manovra è presente un medico anestesista che oltre a fornire una adeguata terapia del dolore potrà intervenire nel caso si verificassero emergenze.
Prima dell’intervento vengono effettuati prelievi di sangue per una valutazione del rischio emorragico. Poichè uno dei rischi dell’intervento è il sanguinamento dovuto alla penetrazione dell’ago nel rene, sarà necessario sospendere per tutta la settimana precedente l’intervento farmaci che possano favorire il sanguinamento (aspirina, antidolorifici, anti-infiammatori, anticoagulanti).
Il ricovero in Ospedale è di almeno 48 ore dopo l’intervento per controllare la comparsa di eventuali eventi avversi onde iniziare al più presto le terapie adeguate..
Per doverosa informazione, si ricorda che la visita medica rappresenta il solo strumento diagnostico per un efficace trattamento terapeutico. I consigli forniti in questo sito devono essere intesi semplicemente come suggerimenti di comportamento.