Resezione Prostatica Transuretrale (TURP)
È una procedura che permette di asportare frammenti di prostata per via transureterale, allo scopo di allargare l’uretra e permettere una minzione più valida. Viene effettuata mediante un apposito strumento, detto RESETTORE, che è dotato di un apparato ottico collegato ad un sistema video che permette di osservare direttamente la prostata e di un elettrobisturi, che permette di asportare dei frammenti di prostata e di coagulare i punti dove tali frammenti sono stati resecati al fine di evitare il sanguinamento.
Indicazioni
- Ipertrofia prostatica benigna
- Neoplasie prostatiche per cui non sia indicata l'asportazione chirurgica radicale, ma causino disturbi minzionali tali da necessitare un trattamento chirurgico
- Sclerosi del collo vescicale
Tecnica e decorso postoperatorio
Questo intervento viene eseguito di norma in anestesia loco- regionale (spinale).
Con il paziente in posizione litotomica ovvero coricato con le gambe divaricate e semi-flesse sulle cosce si accede alla prostata attraverso il pene percorrendo l’uretra con il resettore che con l’impiego di un’ansa metallica collegata al generatore dell’elettrobisturi permette di affettare progressivamente fino alla completa asportazione la parte della prostata che si trova attorno all’uretra, ovvero il cosiddetto adenoma, fino ad arrivare a livello della cosiddetta capsula prostatica, che è in effetti la prostata vera che è stata compressa e spostata dall’adenoma.
Si procede quindi ad una emostasi della superficie cruentata (la loggia prostatica) con un’elettrodo a pallina e si lascia in sede un catetere vescicale che permetta di effettuare delle irrigazioni al fine di asportare le urine ematiche ed impedire il tamponamento vescicale da coaguli.
Efficacia e possibili complicanze
L’efficacia è di questa metodica è elevata quanto alla disostruzione meccanica e alla riduzione del quadro sintomatologico, poiché l’allargamento del canale uretrale comporta un significativo aumento del flusso, con un conseguente migliore svuotamento della vescica e una riduzione della frequenza minzionale.
Una volta rimosso il catetere la ripresa della minzione spontanea è caratterizzata dalla presenza di disuria con urine ematiche e necessità di urinare di frequente e soprattutto con urgenza ma nella maggior parte dei casi senza dolore o bruciore; di solito questo quadro ritorna alla normalità nel giro di 4-8 settimane, man mano che procede la guarigione della zona operata.
Una volta che le urine siano ritornate completamente chiare, può verificarsi anche a distanza di giorni o settimane una transitoria ematuria, determinata dalla caduta delle escare in sede di intervento, che solitamente è autolimitante, ma in alcuni casi può determinare la necessità di una revisione chirurgica o la applicazione di un catetere vescicale per l’evacuazione dei coaguli.
Può succedere che al momento della rimozione del catetere il paziente non riesca ad urinare spontaneamente a causa della presenza di coaguli ematici o della presenza di uno spasmo (contrazione involontaria) dello sfintere uretrale, di solito dovuto a fatto flogistico postchirurgico. In questo caso può essere necessario rimettere il catetere vescicale per ulteriori 5-10 giorni.
In 3 pazienti su 4 si verifica eiaculazione retrograda, in genere permanente.
Le possibili complicanze associate a questo intervento sono rappresentate da:
Emorragia intra- e perioperatoria, di entità tali da richiedere emotrasfusione e in alcuni casi reintervento precoce, open od endoscopico transuretrale.
Ematuria con tamponamento vescicale da coaguli e conseguente eccessiva distensione del viscere con sindrome dolorosa.
Incontinenza urinaria (2-3%) persistente o permanente, di solito da stress, più raramente totale; l’incontinenza totale potrebbe rendere necessaria l’applicazione chirurgica di presidi per ripristinare la continenza (sfintere artificiale, banderelle sottouretrali).
Epididimite acuta, con necessità di terapia antibiotica ed antinfiammatoria prolungata.
Deficit erettile (3-5%, più frequente nei pazienti più anziani), temporaneo o permanente, con necessità di utilizzo di adiuvanti farmacologici o meccanici.
Sclerosi del collo vescicale, ovvero la eccessiva cicatrizzazione ed irrigidimento della loggia prostatica con restringimento dell’introito vescicale (2-3%), a distanza di mesi o anni; di solito richiede successivo reintervento endoscopico (incisione retrograda transuretrale della cicatrice).
Stenosi uretrale, ovvero il restringimento di un tratto del canale uretrale (2-3%), che può necessitare di trattamento chiruirgico.
L’intervento, rimuovendo solo una parte della prostata, non riduce il rischio futuro di sviluppo di un carcinoma prostatico nella porzione periferica della ghiandola, che rimane in sede e deve essere pertanto sottoposta a normali controlli periodici.
Tecniche alternative
Le tecniche di ablazione prostatica laser o con elettrodo bipolare possono essere in tutto e per tutto considerate alternative alla TURP ottenendo risultati simili per gli adenomi fino a 70 ml, superiori per quelli dimensioni maggiori.
L’incisione prostatica (TUIP) può essere una alternativa per gli adenomi di dimensioni inferiori a 30 ml senza lobo medio. Questo intervento è in grado di conservare maggiormente l’eiaculazione anterograda, tuttavia in termini di miglioramento del flusso urinario i risultati sono generalmente inferiori.
L’urolift, l’embolizzazione prostatica ed il Rezum, rappresentatono tecniche caratterizzate da minor invasività, riservabili a pazienti non idonei all’intervento tradizionale. L’efficacia in termini di miglioramento del flusso urinario è complessivamente inferiore rispetto alle tecniche di ablazione laser e alla TURP.
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